
di Aurora Marella
Sono una sostenitrice del valore delle parole, della loro storia e del loro significato più originario. Sono anche convinta che, se si conosce bene la storia delle parole che usiamo, almeno di alcune, o di quelle più frequentemente pronunciate o quelle a cui si è più affezionati, andiamo ad incontrare la nostra Storia, la Storia con la esse maiuscola. Incontriamo le origini e le tradizioni che hanno messo le radici nei vocaboli che tutti i giorni escono dalle nostre bocche. Basta pensarci un attimo e scegliere un piccolo tempo per soffermarsi. Anche le parole hanno le radici che le ancorano come alberi secolari alle nostre abitudini e consuetudini.
Ad esempio, a me piace molto usare a proposito i verbi dimenticare (qualcosa che mi scappa dalla mente) o scordare (qualcosa che, più importante, mi scappa dal cuore) perché l’impatto emotivo sicuramente mi è diverso.
In questi giorni, una parola mi ha incuriosito perché sentita frequentemente: la parola “attesa”.
Durante il mese del Natale è la parola più diffusa, dai sermoni alle pubblicità. E tutti gli anni in questo mese sentiamo dire di prepararci nell’attesa e che l’attesa è quasi più importante dell’evento stesso del Natale. Quando tutti noi abbiamo studiato Leopardi, già ce lo narrava nel suo Sabato, giorno di attesa luminosa: il dì di festa quasi si allunga di malinconia.
L’attesa acquista così un significato bello, elettrico, dinamico, caldo, avvolgente e pieno di aspettative, qualcosa, appunto, che si aspetta.
Però le parole attendere ed aspettare non sono proprio sinonimi.
Se l’attesa è davvero sempre bella e carica di sogno e di desiderio, non è bello attendere un semaforo lunghissimo o restare per ore nella sala d’attesa del medico in ritardo sugli appuntamenti o in coda al supermercato o in un ufficio.
La parola attesa ha in sé una tensione verso qualcosa che si anela come appunto il Natale, una nascita, di un evento importante.
La parola stessa ce lo racconta: è una parola che deriva dal latino ad tendere, cioè essere tesi verso ciò che desideriamo.
La parola aspettare non è proprio la stessa cosa. Infatti la sua origine latina è ex spectare, cioè guardare fuori o guardare attentamente e non ha niente a che vedere con il desiderio o la tensione verso qualcosa. Riguarda l’essere spettatori passivi di un avvenimento, non coinvolti in modo emotivo.
Allora sarebbe meglio dire che si aspetta fermi e più o meno pazienti ad un semaforo ma, mentre guardo la partita, attendo in punta di sedia, pronto ad esultare, il gol della mia squadra preferita.
L’attesa quindi è propria di questo periodo dicembrino, il mese del solstizio d’inverno, che per il 2025 è stato il 21 dicembre alle 16.03, ora italiana, il giorno in cui il dì è stato il più corto dell’anno, anche se i detti popolari lo riferiscono al giorno di Santa Lucia, il 13 dicembre.
In questo periodo di attesa del Natale si lascia che il tempo trascorra le proprie ore in santa pace si spera meno travolti dalle frenesie.
Becket, con il suo Godot (il quale, nel titolo, viene aspettato, non propriamente atteso, ma ugualmente aspettare questo personaggio trasforma il tempo in attesa e scoperta), ci ha parlato di come l’attesa resti un tema delle nostre esistenze, costantemente. E a volte attendiamo l’inarrivabile. E per questo rischiamo di non godere del piacere di percorrere l’attesa, vivendola.
Con questo contributo voglio ricordare, a me stessa e a tutti quelli che vogliono leggerlo, di pensare a come si affronta l’attesa, nel vero senso della parola, riscoprendo senza retoriche una dimensione più umana di questo periodo dell’anno, di queste feste tanto amate e tanto odiate.
Se riuscissimo a dare retta ai latini che ci hanno spiegato con un infinito presente preceduto da una preposizione semplice (ad tendere) il senso da dare al calendario dell’avvento o alla fine dell’anno o alle celebrazioni del solstizio invernale, scopriremmo che non c’è attesa migliore che vita stessa, da vivere in una tensione benevola e rassicurante, dedicando il tempo, il bene più prezioso, ai nostri desideri, soprattutto quelli da condividere.
