di Giacomo Pio Augello

In questo articolo, mi avvarrò di un Avatar che chiamerò il “Praticante”.

Perché?

Perché il praticante è ognuno di noi, che ogni mattina ci alziamo e pratichiamo il duro mestiere della vita.

Ma veniamo al tema di oggi.

Quando si pensa al Kung Fu, una delle immagini che viene in mente, dopo l’iconica guardia da schermidore di Bruce Lee, è quella del monaco Shaolin in meditazione su un palo.

Le arti marziali tradizionali danno grande importanza all’allenamento dell’equilibrio, che, non a caso, è uno dei tratti fondamentali di queste discipline.

Questo anche se, in una situazione di combattimento reale, non è consigliabile sacrificare la sicurezza di poggiare su entrambe le gambe.

Ci si chiede allora: a che serve imparare a stare in equilibrio su di un palo?

Per rispondere a questa domanda, prendiamo il nostro praticante, poggiamolo su un palo piantato nel letto di un fiume e osserviamolo.

A prima vista, si potrebbe pensare che il tenere una posizione faticosa alleni la sopportazione del dolore.

Ma la realtà è molto più complessa di così.

Partiamo dalla base.

O meglio, dal palo. 

Salire su un palo permette, innanzitutto, di cambiare prospettivaperché eleva lo sguardo del praticante verso orizzonti più ampi di quelli imposti dalla natura.

L’atto di porsi al di sopra del livello del suolo, poi, crea una distanza di sicurezza dall’ambiente circostante.

Badiamo bene.

Il praticante non è disgiunto dalla terra, ma semplicemente distante abbastanza da preservare la sua integrità.

Questa riflessione applicata alla vita quotidiana, ci porta a trarre la seguente conclusione.

La nostra esistenza è, in fin dei conti, un fiume di eventi che scorre verso l’infinito.

Panta rei, insegnava Eraclito.

Noi viviamo immersi in questo fiume.

A volte le sue acque scorrono placide e tranquille.

Altre volte ribollono furiosamente, sconvolte dai venti impetuosi delle situazioni difficili, o dirottate dagli imprevisti o gettate nei baratri del tracollo.

Il “porsi su un palo” ci consente di assumere una posizione di sicurezza e osservare lo scorrere del fiume senza essere travolti dalle sue correnti.

Tornando al praticante, notiamo che la ridotta superficie di appoggio lo obbliga ad assumere una posizione precaria per stare in equilibrio.

Ma, se sale su un palo per non essere travolto dal fiume, perché non sta semplicemente e comodamente seduto?

Presto detto.

Lo stare seduto non gli permetterebbe di capire quale sia il suo vero potere e che cosa meriti davvero la sua attenzione. 

Al contrario, la scomodità dello stare eretto su una gamba sola, gli consente di sviluppare la consapevolezza che, per mantenere l’equilibrio, le uniche cose su cui può esercitare il controllo sono il suo corpo e la sua mente.

Nella vita di tutti i giorni vale la stessa dinamica.

Se inseguiamo ciò che non dipende da noi, cadiamo.

La vertiginosa sensazione di distacco dal resto del mondo, poi, sviluppa nel praticante la consapevolezza del fatto che l’unico momento che davvero merita la sua attenzione è il presente, il qui e ora.

Divagare pensando al passato o al futuro, infatti, fa oscillare il baricentro indietro o in avanti.

E, di conseguenza, si cade.

Come insegnava il Maestro Oogway allo sconfortato Po di Kung Fu Panda: “Ieri è storia. Domani è un mistero. Ma oggi è un dono. Per questo, si chiama presente”.

Pensiamoci bene a queste parole.

Noi siamo naturalmente portati a pianificare la nostra vita con progetti che possono coprire pochi giorni, come molti anni. Questo perché siamo consapevoli che il nostro tempo è limitato e, quindi, va gestito.

In questo periodo, poi, ci confortiamo pensando a come erano belle le Feste passate, quando eravamo bambini e il Natale ci appariva come un periodo al fuori dal tempo, immerso in una favolosa atmosfera di magia.

Ma l’amara realtà è che noi non sappiamo quanto tempo abbiamo davvero. 

A ben pensarci, non sappiamo nemmeno che cosa ci accadrà nel corso della giornata né se saremo vivi il giorno dopo.

Questo perché, ogni giorno che ci è dato da vivere non ci è dovuto.

Non importa chi tu sia o quali responsabilità tu abbia.

Quel giorno che vivi ti è donato perché non ti è dovuto.

Per questo, è importante prestare attenzione al momento presente. 

Veniamo adesso alla domanda cruciale del tema di oggi: Una volta che il praticante è sul palo, come trova il suo equilibrio?

Il segreto sta nel saper dare energia a tutte le parti del corpo coinvolte. 

Non è solo la gamba di appoggio, ma anche quella sollevata, il tronco, le mani e i piedi, tutti concorrono a mantenere il corpo in equilibrio.

Ed è questa cooperazione che permette al praticante di ergersi per elevarsi al Cielo.

La natura ha insegnato questa lezione, non l’uomo.

Quando nel 1994 uscì il Re Leone, re Mufasa spiegò a suo figlio Simba che la prosperità del suo regno non derivava dalla tirannica imposizione della sua forza, ma dal rispetto di un delicato equilibrio che collegava tutte le creature, dalla piccola formica alla saltellante antilope.

Anche nella nostra vita vige questa regola. 

Se una parte è troppo tesa e l’altra del tutto rilassata, si collassa.

“ When you find your center, you are sure to win!” cantava il capitano Li Shang a Mulan.

Veniamo all’ultimo quesito. Una volta salito sul palo e trovato il proprio equilibrio, che cosa può fare il praticante?

Può scegliere.

Scegliere se farsi turbare da una folata di vento più forte delle altre o dal rombo profondo e minaccioso delle acque sotto di lui, oppure rimanere concentrato su sé stesso e adattarsi ai cambiamenti climatici per mantenere l’equilibrio il più a lungo possibile.

Si stancherà? 

Si

Cadrà?

Probabilmente Si.

Si rialzerà?

Forse.

E se cadrà, avrà fallito?

Lo scopriremo la prossima volta.

Un caro saluto e Buone Feste.

Nel prossimo numero: Riuscire e fallire. In ogni contesa, ci sono sempre due soggetti che si fronteggiano. Solo uno riuscirà a vincere.

L’altro dovrà perdere.

Ma cos’è un vincente? E cos’è un perdente?

Ve lo racconto presto.

Vi aspetto.